330 GT Registry

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PEZZI UNIGI

Ferrari

"330GT” station wagon

Vignale 1968
 

DEBUTTO A TORINO
Commissionata a Vignale su disegno di uno stilista americano, la "330 GT" s.w. venne presentata al Salone di Torino del 1968. In quell’occasione la livrea della vettura era marrone con le due sezioni del tetto e i montanti posteriori gialli.

Il potere

dei dollari
L’importatore Usa delle vetture del Cavallino, Chinetti,
l’aveva ordinata per un ricco cliente che voleva
una carrozzeria spaziosa e originale. Esposta al Salone
di Torino, la vettura lasciò perplesso il pubblico
italiano. Sene persero le tracce fino al 1995, quando
fu notata in Olanda da un collezionista francese
di Fabrizio Greggio, foto di Maggi&Maggi

Al Salone di Torino del 1968 la notizia si diffuse rapidamente: allo stand Vignale era esposta una Ferrari station wagon realizzata sull’autotelaio della “330 GT”. La curiosità fu tanta, ma l’accoglienza tiepida. L’idea di vestire la raffinata meccanica di una sportiva d’eccezione con una carrozzeria giardinetta era decisamente lontana dal gusto e dalla mentalità europea, italiana in particolare, e questo prototipo venne giudicato dai più come un’impropria contaminazione tra due tipologie di vetture diametralmente opposte fra loro. Inoltre coloro che, quasi per consuetudine, avevano subito associato al nome di Vignale la prolifica matita di Michelotti, che negli anni 50-60 aveva firmato le migliori realizzazioni del carrozziere piemontese, rimasero delusi. Commissionata da Chinetti, l’uomo che costruì il mito Ferrari negli Stati Uniti nonché pilota di talento e titolare della scuderia Nart (North American Racing Team), la “330” s.w. era invece opera di un designer americano e la presenza di elementi stilistici d’Oltreoceano, tradizionalmente poco apprezzati in Europa, non sfuggi agli osservatori più attenti. La vettura evidenziava un certo contrasto tra la parte anteriore, sinuosa e aggressiva, e quella posteriore, massiccia e caratterizzata da linee decisamente squadrate. La presenza dell’imponente montante centrale, che divideva in due sezioni il retro, appesantiva l’andamento della fiancata. Impossibile scorgere una sia pur lontana parentela tra la Ferrari “330 GT”, la splendida 2+2 disegnata da Pininfarina, e questa versione station wagon, certo interessante a livello concettuale, ma purtroppo poco convincente nella realizzazione. Dopo il debutto torinese, della “330 GT” s.w. si persero le tracce e per oltre un quarto di secolo non se ne seppe più nulla. Nel 1995 essa riemerge da un passato oscuro in Olanda, dove avviene l’incontro fatale con Jean Claude Paturau, presidente di un’azienda specializzata in trasporti aerei e collezionista di vetture d’epoca. “I miei molteplici impegni professionali mi obbligano a viaggiare con una certa frequenza. Quando ne ho la possibilità cerco sempre di sfruttare queste trasferte per scoprire qualche tesoro nascosto, magari dimenticato in un angolo polveroso. Nel 1995 in Olanda fui fortunato: curiosando in un’officina scorsi per caso nella penombra una vettura che suscitò il mio interesse, ma solo quando mi avvicinai e riconobbi le linee della Ferrari ‘330’ s.w. ml resi conto che avevo trovato uno dei tesori di cui ero alla ricerca. La vettura era in condizioni tutt’altro che perfette e mostrava i segni di un uso intenso: evidentemente i precedenti proprietari, forse ignari di possedere un esemplare unico, l’avevano utilizzata senza troppi riguardi. Tuttavia la vettura era completa in ogni sua parte. Non ci misi molto a decidere di acquistarla”. Rientrato a Parigi, Paturau affidò la Ferrari alle cure di un restauratore. I lavori di ripristino della meccanica e della carrozzeria procedettero senza soverchie difficoltà, dal momento che la vettura non solo si presentava completa, ma condivideva la medesima meccanica della “330 GT”. Di quest’ultima, quindi, la station wagon mantiene pregi e difetti. “Senza dubbio 300 CV possono sembrare tanti per una vettura non da corsa, ma questo eccezionale V12 evidenzia una elasticità davvero sorprendente e permette una guida piacevole e rilassante anche nel caotico traffico parigino. La tenuta è complessivamente buona, soprattutto se rapportata a quella delle Ferrari granturismo che precedettero la ‘330’; tuttavia sul bagnato o se si esagera con l’acceleratore la guida diventa decisamente impegnativa. Ma è lo Sterzo il vero punto debole: pesante a bassa velocità e in manovra, diventa impreciso man mano che la velocità aumenta. Nulla da eccepire invece sull’impianto frenante, composto da quattro freni a disco adeguatamente dimensionati. A onor del vero vi sarebbe un’altra nota dolente, il consumo: anche prestando attenzione difficilmente si riescono a percorrere più di 5 km con un litro di benzina”. Paturau ha con la Ferrari “330 GT” s.w. un legame particolare: fu proprio l’incontro con questa vettura a far nascere in lui l’idea di collezionare shooting brake, elegante ma poco usata denominazione delle station wagon sportive. Alla “330” s.w. si sono nel corso degli anni aggiunte tre Aston Martin, una Ferrari “Daytona”, anch’essa carrozzata Vignale su commissione di Chinetti, e una Lamborghini “400 GT Flying Star II” realizzata da Touring e presentata al Salone di Torino nel 1966. Paturau non si accontenta di collezionare splendide (e nel suo caso uniche) vetture d’epoca e di conservarle al sicuro in un garage: egli le utilizza regolarmente per recarsi in ufficio e per affrontare trasferimenti anche molto impegnativi, come quando, lo scorso anno, alla guida della sua “330” s.w., ha raggiunto Villa d’Este. Solo una cosa irrita Paturau, sentir definire le sue vetture come semplici station wagon.

 

MASSICCIO CENTRALE
Nonostante l’imponente montante centrale, la visibilità rimane discreta. Belli i cerchi in lega con i fori squadrati.

 

MAGGIORATA AMERICANA
La plancia e leggermente modificata rispetto a quella della “330 GT”, risultando decisamente più imponente.

 

PIÙ PESANTE
La “330” s.w. conserva passo e carreggiate della “330 GT”, ma è più lunga

(5 m invece di 4,84) e pesante (1500 kg invece di 1380).

 

OLTRE OGNI IMMAGINAZIONE
Se non fosse per lo stemma del Cavallino, nessuno immaginerebbe che nel cofano di questa
shooting brake ci sia il 12 cilindri da 300 CV della “330 GT”. L’architettura di questo motore è del tutto simile a quella ideata da Gioachino Colombo per la prima vettura del Cavallino, la “125”, la cui cilindrata era di appena 1,5 litri.

 

IN COSTRUZIONE
Premiata carrozzeria artigianale

L’allestimento della “330” s.w. sta per essere ultimato prima del Salone di Torino. Non sono state ancora montate le griglie a copertura dei doppi proiettori circolari. Questa è  una delle ultime vetture di Alfredo Vignale: nel 1969, l’indomani della cessione della sua azienda, egli perderà la vita in un tragico incidente stradale.

RUOTECLASSICHE luglio 2002